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is... flowering

Esperienza e memoria dei boschi di Topolò

Esperienza e memoria dei boschi di Topolò

by: Renzo Rucli
24.02.2025
camminare bosco Topolò/Topolove uccelli

Uso il termine bosco invece del sinonimo foresta perché mi sembra più domestico e appropriato per il territorio di Topolò.

Nel 1905, con la ricerca-studio “Erborizzazione del bacino medio del Natisone”, il botanico Michelangelo Minio docente presso le Scuole Normali di San Pietro al Natisone a proposito di boschi scriveva: “Il bosco propriamente detto manca del tutto (….) essendo gli alberi d’alto fusto sparsi (…) ma per lo più abbastanza radi da permettere, sotto di essi, la coltura del prato” e che “l’abbondanza degli alberi dipende negativamente dal progredire delle colture, giacché, di mano a mano che aumentano gli appezzamenti coltivati, i fianchi montuosi sono gradatamente denudati di alberi annosi, che cadono ogni anno in numero considerevole senza venire sostituiti”.

Le osservazioni e preoccupazioni di Minio, che sembrano preludere al completo disboscamento delle Valli del Natisone, sono da collegare a due fatti.

Il primo riguarda le politiche del Regno Lombardo Veneto che negli anni 1830-1860 mediante pubblica asta, aliena a titolo di enfiteusi i terreni gestiti in forma collettiva dalla comunità (chiamati kamunje) di ogni singolo paese. I terreni ceduti, frazionati in lotti, costituiti da boschi, castagneti e pascoli, rappresentavano la maggiore estensione del territorio di pertinenza di ogni paese e sono leggibili sulle mappe catastali come rettangoli allungati adiacenti, con confini rettilinei senza curarsi dell’orografia del suolo. In sostanza sono stati privatizzati, con pagamento di un canone annuo, i terreni che erano da sempre in possesso comunitario delle famiglie contadine. Questa operazione truffa pone fine alla cultura del pascolo e al corretto equilibrio fra proprietà privata e collettiva e paradossalmente comporta un aumento di lavoro e fatica per l’allevamento del bestiame in stalla.

Il secondo fatto riguarda la crescita della popolazione: nel 1921 con 17.640 residenti nei sette comuni delle Valli del Natisone si raggiunge il picco massimo di abitanti e ogni area di terreno trasformata in campi o prati diventava indispensabile per la sopravvivenza del numeroso nucleo famigliare.

Ora, essendo nato a Topolò nel 1950 ed avendo vissuto e frequentato il paese in continuità, percorrendo almeno una volta ogni lembo di terreno, posso affermare di aver assistito in “diretta” alla imponente trasformazione del territorio. Da una varietà di ambiti colturali (campi, frutteti, castagneti, prati e boschi) che formavano un paesaggio agricolo differenziato e complesso, si passa gradualmente a una copertura vegetale apparentemente omogenea che solo al livello del suolo conserva le labili tracce del suo passato.

L’ultimo tentativo di arginare l’avanzata del bosco è stato fatto nel 1975 quando la comunità di Topolò (nel 1961 e nel 1971 erano rispettivamente residenti 264 e 128 abitanti) si riunisce in cooperativa che ha la finalità di utilizzare i residui prati per l’allevamento e il pascolo di pecore. Alla cooperativa aderisce, versando una quota simbolica, il 95% delle famiglie il che costituisce un avvenimento sorprendente considerato l’ancestrale attaccamento alla proprietà degli abitanti delle Valli del Natisone. Vengono acquistate 300 pecore provenienti dalla Bosnia e inizia l’avventura (con una dose di impreparazione) che dura per una quindicina di anni. Dal problematico inizio senza alcuna attrezzatura si passa, utilizzando i contributi regionali, alla costruzione di recinti fissi in rete metallica di tutto il versante nord di S.Martino, Kjuč, Škarje e alla costruzione di una nuova stalla in località Zamalnam. Le difficoltà principali erano l’approvvigionamento del fieno per il periodo invernale e l’avversione dei cacciatori che danneggiavano i recinti, e alle volte, facevano sbranare le pecore dai loro cani. Nonostante la travagliata esperienza, la cooperativa ha lasciato un senso di comunità e solidarietà agli abitanti di Topolò.

Ma torniamo al bosco. 

I principali boschi stabili erano localizzati in località Za Topolovem, a destra del percorso di crinale per passo Brjeza, a Javrca, sul versante che dal cippo di confine sale al crinale di Brjeza e sul fronte lungo il torrente Koderjana in territorio del comune di Drenchia. Questi luoghi sono ancora oggi individuabili per la preponderante presenza del faggio (faggete) che conferiscono all’ambiente un certo ordine di valenza estetica. 

Per i bambini di Topolò questi boschi erano luoghi di fatica e gioco.

Nel pomeriggio, dopo la scuola elementare, piccoli gruppi di bambini (maschi e femmine) andavano a raccogliere i rami secchi che, legati in fascine, venivano trasportati a casa e impiegati per il fuoco dei fornelli. La ricerca di legna da ardere di buona qualità (faggio) era particolarmente difficile e spesso era necessario arrampicarsi sugli alberi per tagliare con l’accetta il ramo migliore.

Le domeniche erano invece riservate alla ricerca dei nidi di uccelli e alla caccia di ghiri.

Particolarmente ricercati e apprezzati erano i nidi della gazza ghiandaia e dei falchi.

L’intento era quello di prelevare un piccolo uccello già svezzato un momento prima che abbandonasse il nido ed allevarlo a casa.

La gazza ghiandaia fa il nido prevalentemente in cima ad alti faggi e raggiungere il nido presentava non poche difficoltà; i falchi invece nidificano verso la cima di grandi abeti, o in pareti rocciose inaccessibili.

Particolarmente apprezzata era la gazza ghiandaia, un uccello di circa 35 cm di lunghezza con piumaggio di colore nocciola con inserti azzurro splendente. La particolarità dell’uccello è di essere facilmente alimentato con cibo variabile e di essere addomesticato; ma sopratutto ha la capacità di imitare il suono di altri uccelli e il verso di animali domestici (gatto, cane, pecore). 

I ghiri rifugiati di giorno in buchi nelle rocce o negli alberi venivano catturati con l’utilizzo del fumo fatto circolare nei rifugi: gli animali dopo vari starnuti uscivano dalle tane leggermente storditi ed erano perciò più facilmente catturabili.

Sempre legata alla prima infanzia – quando al bambino maschio veniva consegnata la prima falce che permetteva di unirsi, alle prime ore del mattino, al gruppo di uomini che raggiungevano i prati di sfalcio di Kjuč o Brjeza – sono i luoghi della Durata.

La durata è quel sentimento cosi eccezionalmente descritto da Peter Handke con un canto, che per una inspiegabile fenomeno della mente sceglie alcuni luoghi della propria esistenza per elevarli a luoghi unici senza che per questo abbiano una particolare spettacolarità o bellezza.

Due sono i miei luoghi di queste caratteristiche.

Il primo localizzato a Doročica, poco sotto al passo Brjeza, dove in un lotto avevamo un accidentato prato di tre piccole mede: era una minuscola valle posta in pendenza, delimitata da emergenze rocciose con un punto di accesso e di fronte ad esso, un’interruzione delle rocce con dosso erboso che determinava una prospettiva di vuoto e lontananza. In questo luogo si consumava il pranzo dopo le fatiche mattutine e un piccolo piano di roccia serviva da tavolo. Il luogo nonostante il tempo non ha subito grandi trasformazioni e anche i pochi nuovi alberi non sono riusciti a modificarlo.

Il secondo luogo porto il nome Zakripa, poco oltre il passo Kjuč: questo è un prato a forma di lungo rettangolo con lato minore di circa 20 m e quello maggiore di alcune centinaia di metri che sale con forte pendenza verso la vetta del monte Škarje. In questo caso la durata è dovuta a una percezione direi estetica: lo sfalcio dell’erba coperta dalla rugiada mattutina formava righe di cumuli colorati di fiori su cui saltavano migliaia di cavallette variopinte e l’avanzare veloce dello sfalcio lungo il pendio determinava una lunga prospettiva di righe colorate che ora associo al dipinto di Paul Klee Strada principale e strada secondaria di cui al tempo non conoscevo l’esistenza. Questo luogo ha subito una notevole trasformazione con una fitta nuova alberatura per cui fatico a riconoscere la vecchia quercia sotto la quale pranzavamo. 

Almeno una volta all’anno ho sempre visitato questi due luoghi.

E adesso?

Ora il territorio quasi completamente coperto da alberi è per me fonte di ricreazione.

Due sono i modi per attraversare un bosco: il primo seguendo un sentiero pulito più o meno segnato per raggiungere un punto di arrivo e di ritorno, il secondo inoltrarsi liberamente fra gli alberi avendo come riferimento solo la direzione. Inoltre si può camminare insieme ad altre persone o in solitaria. Dico subito che preferisco camminare da solo o al massimo con una persona con analoghe caratteristiche di resistenza e flessibilità.

Camminare lungo un sentiero pulito permette di percorrere una distanza in un tempo più o meno determinato con un movimento costante e cadenzato delle gambe e del corpo; l’osservazione e la percezione dell’ambiente è circoscritto e determinato dal tracciato del percorso e la costanza e sicurezza del cammino permettono alla mente di essere occupata dai progetti e dagli avvenimenti della vita quotidiana. 

Quando ho sufficiente tempo a disposizione preferisco inoltrarmi nel bosco libero dai condizionamenti di sentieri tracciati seguendo una direzione approssimativa per raggiungere un luogo prefissato. In questo caso tutta l’attenzione è rivolta alla individuazione del miglior percorso possibile per evitare ostacoli naturali che si incontrano in successione. Il movimento del corpo non ha più un ritmo cadenzato ma continuamente variabile per scavalcare alberi caduti o attraversare luoghi rocciosi; anche le braccia partecipano al movimento e per mantenere l’equilibrio è spesso necessario appendersi o trattenersi a liane o ad alberi. La mente è concentrata unicamente alla individuazione del migliore percorso rispetto alle condizioni date e alla attenta osservazione, continuamente variabile, dell’ambiente naturale.

Alle volte il senso di disorientamento e la paura di perdersi accentuano la concentrazione e il completo asservimento ai luoghi attraversati. Nell’incertezza un importante aiuto è fornito

dalle tracce dei percorsi di animali, in particolare dei caprioli, che in genere sono stanziali e si muovono su un territorio delimitato. Questi percorsi, tracciati in maniera perfetta per evitare ostacoli, in genere attraversano i versanti montuosi seguendo le linee di livello con dei punti di discesa a valle o salita sulle cime.

Appare superfluo dire che ritengo la camminata libera il miglior modo per la scoperta e la conoscenza del bosco e della forza vitale della natura.

Foto di Renzo Rucli